La libertà di espressione nelle Università tra USA ed Europa
Una prospettiva pedagogica
Nel 1964 un giovane studente americano, Mario Savio, diventa uno dei leader del Free Speech Movement all’Università di Berkeley in California. Chiede per sé e per i propri colleghi studenti universitari il diritto alla libertà di espressione e di parola, aprendo la strada per altre battaglie in favore dei diritti civili.
Poco più di 50 anni dopo, un’altra generazione di giovani studenti universitari americani chiedono invece qualcosa all’apparenza di opposto, con un nuovo lessico per definire queste richieste: safe spaces e comfort zones dove sentirsi al sicuro da discorsi troppo urtanti, speech codes per regolamentare lezioni e dibattiti in università e trigger warning per essere avvisati da parte dei docenti qualora intendano affrontare argomenti controversi o che in qualche misura potrebbero generare in loro una situazione emotivamente complessa. Una tendenza che si sta espandendo velocemente anche in Europa.
Ma che cosa accade all’università se, proprio in questo luogo preposto alla formazione dei giovani e alla ricerca, vengono limitati gli spazi di libertà per le idee e il dialogo? Quali sono i rischi di escludere dal dibattito accademico le questioni più controverse? Perché è importante, invece, dal punto di vista pedagogico, difendere e rilanciare la libertà di espressione non solo nelle università, ma in ogni sede dove è possibile?
Recensioni
Francesco Magni
> torna suè ricercatore di Pedagogia Generale e Sociale (tipo B) presso il Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università degli Studi di Bergamo. Coordina la redazione del mensile Nuova Secondaria. Per Edizioni Studium ha pubblicato La sfida del “caso” Inghilterra. Formazione iniziale e reclutamento dei docenti (2018) e Formazione iniziale e reclutamento degli insegnanti in Italia. Percorso storico e prospettive pedagogiche (2019).
Caratteristiche
Anno: 2022Numero pagine: 176
ISBN: 978-88-382-5001-9
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